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Spesso si sente dire che alcuni territori siano legati a filo doppio con alcune cantine e ciò potrebbe essere il caso di Castello di Monsanto con la zona del Chianti Classico. Apprezzo da tempo i loro vini ma non sono riuscito a visitare la cantina prima di Novembre di quest’anno. In passato i vini di Castello di Monsanto sono stati spesso tra i miei migliori assaggi della Chianti Classico Collection, come ho raccontato nel 2024, 2023 e 2022.

È un legame stretto e forte quello tra la famiglia Bianchi ed il territorio del Chianti Classico, dal momento che oggi si può contare la quarta generazione affacciarsi nella gestione aziendale: tutto è partito da Aldo e Fabrizio Bianchi, rispettivamente padre e figlio, che giungono a Monsanto negli anni 60 e, visitando i vigneti ed il Castello all’epoca posseduti dalla famiglia Palloni, decisero poi di acquistare la tenuta con relativi poderi. Dopotutto Aldo era originario di San Gimignano e questo ritorno in Toscana sembrava quasi segnato nel destino.

Il fato volle che da uno dei vigneti di Castello di Monsanto si potevano scorgere le Torri di San Gimignano, guardano le colline in direzione Ovest: fu questo scorcio panoramico a conquistare il cuore di Aldo, che volle a tutti i costi acquistare l’azienda, convincendo il figlio Fabrizio a prendersene cura. La precedente proprietà era di origine fiorentine e, all’interno del Castello del 1740, esisteva già una cantina con produzione di vino.

La vista affascina ancora oggi: basta raggiungere il vigneto Poggio, con un’altezza di circa 320 metri e, dopo aver ammirato l’affascinante disposizione dei vigneti a 360 gradi, notare la bellezza del panorama circostante. Insomma il cammino di Castello di Monsanto nasce da un atto romantico, come a volte capita nelle storie più affascinanti.

Un cammino non di certo terminato, dal momento che l’azienda vive una fase consolidata di successo in Italia e nel Mondo: sono 72 gli ettari oggi vitati, inseriti in un contesto di 210 ettari totali in cui trovano spazio anche più di 100 ettari di boschi. Quest’ultima è una delle più belle peculiarità a Monsanto ma anche in molteplici altre zone del Chianti Classico: la macchia boschiva è ciò che ancora oggi permette rispetto e valorizzazione delle biodiversità come in poche altre aree.

Vigneto Poggio di Castello di Monsanto

Il Poggio di Castello di Monsanto, dove tutto è partito

Il vigneto Poggio è ancora oggi il fulcro e l’emblema dell’azienda, dal momento che da quel vigneto fu prodotto fin da subito il vino più significativo di tutta la gamma, il Chianti Classico Riserva: il vigneto ha una dimensione di 6 ettari, quando in origine ne contava solo 2,5 ed è vitato perlopiù a Sangiovese oltre a confluenza di Colorino e Canaiolo. L’etichetta del Chianti Classico Riserva di Castello di Monsanto è una delle più riconoscibili nel panorama italiano, essendo invariata dal 1962 ed una delle più antiche etichette di Chianti Classico che ancor oggi si trovano sul mercato.

Ben presto questa etichetta divenne famosa negli Usa, ancor prima che in Italia, rendendo il Chianti Classico Riserva di Castello di Monsanto uno dei vini italiani più conosciuti oltre oceano. La situazione odierna è ancora florida negli Usa, ma nel frattempo i vini sono ben diffusi anche in Italia, complice la sempre maggiore cultura vinicola che si è diffusa nel Bel Paese e l’attività di promozione della cantina stessa e del Consorzio Chianti Classico.

Nonostante l’etichetta del Chianti Classico Riserva sia ancora esistente, negli anni è stata affiancata dalla Gran Selezione che, come vuole il suo disciplinare di produzione, deve provenire da un unico vigneto. Ecco il motivo per cui oggi troviamo la scritta “Vigneto Il Poggio” sulle bottiglie di Gran Selezione e non più su quelle del Chianti Classico Riserva.

Le idee di Fabrizio Bianchi sembravano innovative già all’epoca, essendo stato uno dei primi viticoltori a togliere le uve bianche dall’assemblaggio, credendo che il futuro della tipologia fosse solo con uve rosse: era dai tempi di Bettino Ricasoli e della sua “ricetta del Chianti” che si era soliti usare anche una parte di uve bianche in vinificazione.

Al contempo Fabrizio decise di creare un altro cru aziendale con il vigneto Scanni, da cui si produce il Sangioveto: è una diversa interpretazione di Sangiovese, partendo da un clone Grosso come quello utilizzato a Montalcino, oltre che un segno di protesta nei confronti dell’allora disciplinare che non prevedeva l’introduzione di nuovi vigneti al di fuori delle connotazioni territoriali stabilite nel secolo precedente.

Un’altra idea visionaria fu quella di impiantare Cabernet Sauvignon negli anni 70, da cui nacque il vino Nemo. Nel 1976 arriva anche la mossa bianchista con l’introduzione di un vigneto di Chardonnay, creando di fatto il quarto Cru aziendale, con la volontà di proporre un bianco in stile francese anche nel territorio chiantigiano: l’idea non fu sbagliata, dal momento che ancora oggi lo Chardonnay esiste e rappresenta un vino con potenzialità d’invecchiamento notevoli, viste e considerate anche le annate storiche presenti in cantina.

La cantina di Castello di Monsanto nasconde annate storiche e tesori

L’occasione di entrare in cantina è servita per parlare anche di vinificazione, affinamenti, diversi tipi di legno usati, ecc. Perché raccontare la cantina è notevolmente difficile, pur bravi e fantasiosi si possa essere con le parole. Lo sguardo resta ammaliato da gallerie, nicchie, cataste di bottiglie, cartelli con annate che vanno a ritroso per decenni e storia da vendere. Alcune immagini che inserirò di seguito si presenteranno da sole, permettendo a chi non ha ancora visitato l’azienda di avere una piacevole anticipazione.

Le foto credo possano raccontare meglio di ogni parola la meraviglia di cotanta tradizione, a testimonianza che il trascorrere degli anni ed il tempo non lasciano mai indifferenti: in ogni angolo si possono rinvenire annate storiche, nelle quali molte persone si immedesimeranno alla ricerca della propria data di nascita.

Le cantine sono in realtà due, una più antica e facente parte del castello originario ed una più nuova, costruita dal 1986 al 1992 dai cantinieri e tuttofare dell’epoca. Cosi facendo il totale di bottiglie stoccate può raggiungere all’incirca le centomila, ponendo Castello di Monsanto tra le realtà con più bagaglio storico in Italia. È stata fissata anche una tradizione famigliare, per la quale gli eredi possano avere una determinata quantità di vino della loro annata di nascita solo al compimento dei 25 anni di età: una sorta di anticipazione testamentaria per meglio comprendere tradizione e storia della famiglia mentre si diviene adulti.

Molte annate che giacciono in cantina sono tuttora in vendita, ad esclusione della 1962 che è patrimonio aziendale e riservata solo al consumo della famiglia Bianchi. In caso di vendita di vecchie annate è in uso a Castello di Monsanto la pratica della ricolmatura, come avevo già visto in un’altra occasione a Tenuta di Capezzana nel Carmignano: si toglie il tappo in sughero originario, si ricolma la bottiglia con il vino della medesima annata, si chiude con un nuovo tappo e si procede all’etichettatura finale. Questa è una prassi ormai consolidata e nota per avere la certezza di poter allungare ulteriormente la vita della bottiglia, permettendo ai posteri di avere in eredità un vero pezzo di storia.

Facendo un rapido accenno allo stile di vinificazione, è singolare notare come la produzione di Chianti Classico Riserva sia superiore di quasi cinque volte rispetto al Chianti di annata: ben 250 mila bottiglie contro le circa 50 mila dell’annata. In più a Castello di Monsanto la cantina è sovradimensionata rispetto alle necessità attuali, poiché si è soliti fare vinificazioni diverse in funzione dei vigneti di Sangiovese: in genere vengono vinificate separatamente 30 parcelle, in modo da avere maggiori possibilità di scelta per creare Chianti Classico e Chianti Classico Riserva.

Tutti i vini compiono affinamento in botti da 38 hl ad eccezione di Nemo, il Cabernet Sauvignon in purezza, mentre cambiano i tempi di affinamento in bottiglia prima dell’uscita sul mercato, con Poggio e Sangioveto che sostano maggiormente in cantina prima di vedere gli scaffali di enoteche e ristoranti di tutto il Mondo.

Pranzo e degustazione come atto finale della giornata

Conclusa una visita in cantina è sempre bello finire con un pranzo conviviale in cui assaggiare i vini e discuterne per valutare tipicità e caratteristiche: così è stato anche da Castello di Monsanto, dove ci siamo spostati nelle accoglienti sale de L’Anfiteatro.

Durante il pranzo la degustazione dei vini ha spaziato dalla gamma attuale fino ad un paio di chicche finali non da poco: giusto per anticipare solo il minimo necessario, posso dire che avere la possibilità di degustare il Chianti Riserva il Poggio 1980 e Sangioveto 1995 è stato un grande onore.

Partiamo dallo Chardonnay Fabrizio Bianchi, in un confronto agli antipodi tra 2023 e 2006. La 2023 si presenta subito tesa e fresca al palato, con sentori di agrumi e pesca, buona salinità e piacevole corpo. Leggere note burrose, inserite in più che discrete freschezza e persistenza.

La 2006 è un salto nel passato, iniziando dal colore che si presenta molto più carico nelle tonalità dorate e quasi ambrate. Le note burrose si ampliano, i sentori fruttati ricordano i canditi e le scorze di agrumi, si aggiungono frutta secca, vaniglia e lievi note tostate. In bocca non è fermo, pur con la giusta grassezza, dimostrando ancora acidità e freschezza più che sufficienti. Mi lascia salinità, sapori di pesca sciroppata e frutta secca.

Monsanto Rosso 2021 è l’ultimo vino nato, a base di sole uve Sangiovese: gioca con frutti come ciliegia, arancia sanguinella e marasca che lasciano una timbrica sia al naso che al palato. I profumi di liquirizia, erbe aromatiche ed un minimo di ematico allargano la platea dei sentori olfattivi. Piacevolezza di beva, sensazioni agrumate nel finale, ottima sapidità e freschezza invogliano a goderselo.

Il Chianti Classico 2022 ha profumi più polposi e rotondi del Monsanto Rosso, oltre ad avere meno note ferrose: un pizzico di note mentolate e di erbe aromatiche provvedono a dare più leggerezza ai profumi. In bocca è meno pieno di quanto potesse sembrare, con un tannino presente e tanta freschezza che alleggerisce e allunga la beva. Chiusura erbacea ed asciutta.

Diverso il Chianti Classico Riserva 2020 che riprende ed evolve parte dell’ematicità e ferrosità rinvenuta nel Monsanto Rosso 2021, aggiungendo ricordi di prugna, marasca appassita, eucalipto, cuoio e cacao. La succosità in bocca è il tratto distintivo, pur con un tannino vigoroso ma non eccessivo, frutti che denotano struttura più acidula che polposa. Conclude salino, piccante e con sfumature di pepe nero e cacao.

Il trittico si conclude con il Chianti Classico Gran Selezione Il Poggio 2020 che porta ad uno stadio successivo la già ottima presenza del Riserva. Più ematico, più balsamico e con maggiori influssi tostati e speziati al naso, virando su noce moscata ed un pizzico di foxy. Al palato avvolge con struttura di livello, con tannicità e dimensione del frutto che si fondono alla perfezione. Il palato resta pulito, continuando coerente con le sensazioni e dimostrando ottima persistenza.

Degustazione vini di Castello di Monsanto

Il Sangioveto 2018 è quasi un sunto degli altri Sangiovese, dimostrandosi diverso per struttura ed armonia. Sicuramente il maggiore affinamento in bottiglia aiuta, rendendo olfatto e gusto ancora più amalgamati. Profumi scuri di liquirizia, tabacco, cioccolato, mora in confettura, ferro e ricordi terrosi. Palato avvolgente, quasi cremoso nel sorso fruttato e lungo nel ricordo, con tannino più fine e meno astringente, seppur presente. Ha sempre sapidità da vendere al palato che non interrompe una bellissima lunghezza acida.

Si cambia completamente sfera, passando al Cabernet Sauvignon del Nemo 2018. Naso con tratti erbacei, mentolati, che sa di prugna, mora ed agrumi rossi, oltre a humus, cioccolato fondente, tostato leggero, cannella, pepe nero e bacca di vaniglia. Cremoso al palato e con sorso fruttato presenta ricordi di sottobosco, in cui si inserisce un tannino meno vigoroso che nel Sangiovese, mentre calore e vena piccante arrivano decisi. Sullo stesso livello è la sapidità.

Prima della conclusione si assaggia un pò di storia di Castello di Monsanto

Il primo delle vecchie annate che hanno nobilitato la fine della degustazione a Castello di Monsanto è il Chianti Classico Riserva Il Poggio 1980. Il colore è ancora luminoso, i profumi al naso delicati, magri e sciolti: scorza di agrumi rossi, mandarino, ciliegia sotto spirito, sentore medicinale, sbuffi eterei e sanguigni oltre che di terriccio umido. Il palato è esile, scorrevole ed incontra un tannino agrumato e dolce con un’astringenza piacevole che rilascia sapore di china, tamarindo e stecca di liquirizia. Un’esperienza da fare e di altri tempi che testimonia quanto fosse diverso l’approccio dell’epoca rispetto ai tempi odierni.

Un’altra annata storica degustata è stata Sangioveto 1995, che vira su note di marasca e prugna spolpate, cioccolato, tabacco bagnato, leggero ricordo di selvatico, oliva nera, erba bagnata, eucalipto, caramello salato e vaniglia. La bocca resta ancora succosa, piena ed ampia nel ricordo della materia matura del frutto. Il tannino è perfettamente levigato nonché dolce, l’acidità bilancia la beva e lascia il palato pulito ed asciutto: sicuramente più materico del Poggio 1980.

La degna conclusione della giornata a Castello di Monsanto è stato l’assaggio di Chimera Occhio di Pernice 2006, tipico Vin Santo da sole uve Sangiovese. Fico secco, dattero, caramella mou, miele di castagno, tocchi eterei, fondo di caffè, albicocca candita, cioccolato bianco, chiodi di garofano, cannella ed erbe aromatiche. L’assaggio è cremoso ed avvolgente, ma il residuo zuccherino non invade mai eccessivamente la scena. Chiude con giusta acidità e ricordi tostati ben evidenti. Lungo e di bella persistenza.

Si chiude qua il mio racconto della giornata passata a Castello di Monsanto, splendida giornata in una delle cantine più significative per la storia ed il territorio del Chianti Classico.

di MORRIS LAZZONI

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16 Dicembre 2024. Riproduzione riservata