Sono stato alla terza cena Stelle & Calici organizzata da Vite in Riviera
Tornare nel Ponente Ligure per la terza cena di Stelle & Calici di Vite in Riviera è di nuovo un onore! In realtà per me era la seconda cena, visto che ho saltato il primo appuntamento in cui ha cucinato lo chef Arrigoni.
Però sai che ti dico? Se sei curioso di sapere com’è andata la cena a cui non ero presente, fai una bella cosa e LEGGI L’ARTICOLO DELL’AMICA CHIARA BASSI!
Insomma è la seconda volta che torno ad Ortovero e che mi siedo ai tavoli dell’ Enoteca Regionale della Liguria per una cena stellata: visto che non è da tutti e visto che per la seconda volta sono stato gradito ospite dell’ Associazione Vite in Riviera, è giusto esserne fiero e ringraziare coloro che mi hanno permesso di raccontare il connubio vino-cibo dalle parti del Ponente Ligure.
L’ospite d’onore della cena è stato lo chef Gian Piero Vivalda, già noto per le Due Stelle Michelin, nonchè patron del Ristorante Antica Corona Reale di Cervere, piccolo paese del cuneese che conta poco più di 2000 anime. Ti anticipo che nella mano di Vivalda si è percepito il “tocco sabaudo”, visto che ha abbinato a ricette prettamente piemontesi prodotti locali del Ponente Ligure.
Il Carciofo Spina di Albenga, il Gambero rosso di Oneglia, le Olive Taggiasche ed il Chinotto di Savona sono stati protagonisti nei piatti dello Chef, uniti ai prodotti del Piemonte come i Ravioli al plin, il Capretto di Roccaverano e la Finanziera di frattaglie. Ti preannuncio che io non ho mai mangiato frattaglie in vita mia, ma di quel piatto ne avrei richieste altre due porzioni…e abbondanti!
Se non ti ricordi della mia prima cena Stelle & Calici ti perdono, però almeno recupera e →LEGGI IL MIO ARTICOLO CLICCANDO QUA!←
Il progetto di Vite in Riviera ha di nuovo fatto splendere il Ponente Ligure
Gli amici dell’Associazione Vite in Riviera sono riusciti a creare un qualcosa di unico per la zona. L’avevo già detto nel mio primo articolo, ma oggi posso confermarlo ancora più nitidamente.
Portare quattro chef stellati di gran calibro in un piccolo paese dell’entroterra ligure come Ortovero significa pensare oltre i limiti e non avere timori reverenziali verso “l’ingombrante peso mediatico” di questi chef. Hanno creduto in loro, hanno fatto tutto quello che era possibile per dare lustro e visibilità al proprio territorio ed hanno deciso di puntare sulla valorizzazione dei loro grandi vini abbinati a prodotti alimentari liguri di assoluta eccellenza.
Ora però passo al racconto della cena e mi focalizzerò soprattutto sui vini, come ben immagini, ma senza tralasciare il racconto dei piatti o dell’abbinamento cibo-vino. Già ora ti anticipo che la qualità media dei vini è stata di buon livello, con qualche vino che si è comportato meglio di altri, ma senza cadute nella media del livello qualitativo. Vuoi sapere qual è stato il mio vino preferito? Abbi pazienza, te lo dirò dopo!
ANTIPASTO: Martini di seppie del Golfo Ligure, Carciofi spina di Albenga e Gamberi rossi di Oneglia
L’antipasto è ottimo non solo alla vista, considerata la bella presentazione che vedi in foto. È perfettamente bilanciato nei sapori, dove la tendenza dolce e la morbidezza del Gambero vengono bilanciate dal leggero amarognolo del Carciofo spina di Albenga e dalla croccantezza delle seppie. Non so se vedi sotto i gamberi la salsa di carciofo che dà una perfetta amalgama. In ogni caso è un ottimo piatto: realizzato bene ed, ancor prima, pensato meglio.
1° VINO: Torre Pernice Pigato RLP Doc 2017
Avevo bevuto proprio qualche giorno fa il Pigato 2017 di Torre Pernice, una dei 25 produttori che fa parte di Vite in Riviera. È anche l’azienda che in Liguria possiede l’appezzamento più grande in unico corpo, con quei 9 ettari tutti disposti sulla piana di Albenga.
Quindi la descrizione del vino la puoi trovare leggendo il post che avevo fatto su Instagram: oltre a leggerlo magari metti un like alla mia pagina!
2° VINO: Calleri Saleaco RLP Doc 2017
Negli altri articoli ti ho già ampiamente parlato dei maggiori vitigni del Ponente Ligure: ma tra i vignaioli di Vite in Riviera ci sono aziende come Calleri che coltivano vitigni meno diffusi e conosciuti. Uno di questi si chiama Saleasco, definito come il “Pigato di Albenga”, molto diffuso nella zona ormai dal 1600. Si crede che provenga dalla Grecia, ma nei secoli ha trovato sulle sponde liguri un habitat ideale.
È diverso dal Pigato di Torre Pernice visto che al naso si presenta con spiccati sentori di erbe aromatiche come salvia, poi macchia mediterranea ed un tono agrumato che mi riporta a pensare alla freschezza del pompelmo e della buccia della pesca bianca. Ha una buona intensità e s’incastra anche in una gentile nota speziata, così come è piacevole la mandorla, che arriva tesa e dritta nel finale.
Al palato entra potente, quasi debordante e con una decisa salinità, perfino impetuosa. C’è salivazione citrina, una buona densità di gusto ed il ritorno erbaceo che buca la coltre di calore portata dall’alcol e l’amaricante che chiude il coro delle sensazioni. Ha una beva davvero “maschia”, o tosta se vuoi: scegli tu!
PRIMO PIATTO: Ravioli al plin di Coniglio grigio, Carciofo spina di Albenga e Tartufo nero della Val Pennavaire
Delicatezza e sapori decisi si fondono assieme per creare un’amalgama al palato che sfiora la perfezione. Il Tartufo fatto a piccoli riccioli e posto sopra dà spessore ed aromaticità al raviolo di coniglio, con un ripieno gustoso e finemente grasso, mentre la crema di carciofo aggiunge un tocco leggermente amarognolo che, insieme al tartufo, danno intensità e potenza ai sapori. Solo la cottura era un pò troppo “al dente”: forse 30 secondi in più avrebbero reso la pasta ancora più morbida.
1° VINO: Ramoino Serro dè Becchi Rossese di Dolceacqua Doc 2016
Te lo ricordi questo vino? Io si, perché l’ho bevuto il mese scorso durante il mio viaggio nelle vigne del Ponente Ligure: ero a pranzo nel ristorante di Nico Ramoino ed uno dei vini in degustazione era proprio il Rossese Serro dè Becchi. Mantiene la sua classe, le sue personali qualità e posso dirti che l’abbinamento con il raviolo al plin era veramente azzeccato.
Ti lascio qualche parola riguardo alla descrizione del Serro dè Becchi di Ramoino, giusto per metterti curiosità! Riprendo la descrizione che ho già fatto nel mio precedente articolo, eccola:
…È al palato che capisci la sua potenzialità: c’è freschezza, buona acidità ed un tannino più spinto e presente, ma mai troppo invadente con le gengive. La struttura è diversa e maggiore, come la densità di tutti i ricordi che percepisco…
→ Se poi vuoi sapere come sia, CLICCA E VAI AL MIO ARTICOLO IN CUI NE PARLO!
2° VINO: Foresti Rossese di Dolceacqua Superiore Doc 2016
Questa invece è una nuova conoscenza e sicuramente ha una decisa personalità. Ti anticipo che ti parlerò meglio della zona di Dolceacqua in un prossimo articolo, per cui non voglio rovinarti la sorpresa: per il momento posso dirti, qualora non ricordi la geografia, che siamo nell’estremo Ponente e quasi al confine con la Francia.
Come si presenta al naso questo Rossese! Ha un’intensità olfattiva veramente interessante, perché ampia e strutturata. Arrivano note erbacce miste a mora e ribes nero, una spolverata di spezie come noce moscata e pepe nero, poi il ritorno dell’erbaceo secco con tabacco, prima di lasciar spazio al calore portato dall’alcol. Non è mai banale, né invadente al naso, bensì diretto e preciso, con un olfatto che mette in mostra l’ampiezza dei suoi profumi.
Al palato è croccante, carnoso, le sfumature erbacee si prendono la scena lasciando anche un buon ricordo alcolico, quasi a testimoniare che c’è una buona base da cui partire. Mi colpisce la sua sapidità, davvero salina e densa, che anticipa il ritorno dei sentori evolutivi al palato. Si muove bene in bocca, riportando ogni singola sfumatura e senza eccedere in nessun lato in modo da non sbilanciarsi: anche il tannino si fa notare, ma senza voler prevaricare le altre sensazioni. È l’alcol che equilibra il tannino e lo tiene a bada, in un gioco che non fa nè vincitori nè vinti. Mi piace la sua lunghezza di gusto, che lascia ricordi pieni e corposi, senza uccidere la bevibilità, forte di una buona salivazione che allunga la persistenza globale del vino.
SECONDO PIATTO: Capretto di Roccaverano allo spiedo d’ulivo, caponata d’inverno alle Olive Taggiasche e la sua Finanziera
Forse il piatto che mi ha colpito di più e per due motivi: il primo è che io non ho mai mangiato frattaglie di animale in vita mia! Ognuno di noi credo che abbia dei cibi che non mangia o per cui non vada pazzo: io ho sempre evitato come la peste le frattaglie, mentre con questa Finanziera avrei fatto la scarpetta anche alla pentola, perdendo quel poco di dignità che mi è rimasta!
Il secondo motivo è che quel capretto si scioglieva in bocca! Impressionante come la carne fosse cotta in modo magistrale e come la grassezza del capretto aiutasse il gusto a rapire il palato. Per me è il piatto migliore della serata: non che gli altri non fossero all’altezza, ci mancherebbe, ma questo è stato il fuoriclasse!
1° VINO: Poggio dei Gorleri Shalok Granaccia RLP Doc 2015
Come sale intenso al naso e che bella eleganza! È deciso nel porre la vena speziata in prima linea, subito seguita dall’ottima nota di ciliegia marasca, mora e ribes nero: insomma è un bel festival di frutti di bosco pieni di succo e polposi. Arriva anche un buon contributo alcolico che alza l’asta delle sensazioni, senza però quell’enfasi di chi arriva a rovinare l’equilibrio delle cose. Se ti stai chiedendo se il vino abbia fatto affinamento in legno, ti dico di si: stai calmo, perché ora arriva anche il turno di quell’evoluzione. Ricordi di cioccolato amaro, thè nero, delicato e fine fumè portato da tabacco da pipa appena tostato. Chiude il cerchio una nota minerale che vira verso ricordi sulfurei.
Quanto è pieno anche al palato questo Shalok 2015! Mi lascia fruttato intenso, quasi denso nella sua movenza, in cui la consistenza della frutta è un tutt’uno con i ricordi tostati ed evoluti. Ci sono tocchi limacciosi, segno che la sapidità sa il fatto suo, ma anche una spolverata di cipria che, unita al tannino ben presente ma setoso, aggrappa le gengive senza sferzarle.
Mi piace la sua persistenza, degnamente lunga, come quel gusto che resta per vari secondi e che mi fa innamorare di questa Granaccia davvero tesa e ben fatta.
2° VINO: Innocenzo Turco La Granaccia I Cappuccini IGT 2015
Ecco la bellezza di bere assieme due vini della solita annata e che hanno alla base lo stesso vitigno: trovare le differenze e valutarle nello stesso momento è una sfida e motivo di soddisfazione per il degustatore.
Già dai primi sentori si capisce che la materia fruttata è spostata più su tonalità acidule e più fresche della Granaccia di Poggio dei Gorleri, infatti anche l’alcol arriva più netto e importante. Sento un fine mentolato, quasi eucalipto, oltre a frutti neri e rossi che ancora si dimostrano giovani e freschi: è marcato il ricordo di agrumi rossi come sanguinella, ma anche ciliegia e lampone. Ci pensa l’evoluzione passata in legno a portare complessità e profumi più evoluti, come quelli del caffè e della noce moscata, prima di colpire la mia attenzione con una punta di erbe secche di campo e vena speziata.
Mantiene una buona freschezza e tanta acidità al palato, puntando meno sulle note evolutive quanto sulla bevibilità, nonostante il tannino si muova ancora aggrappante e deciso nel sostenere l’importanza del suo ruolo. Questa bella spalla acida è bilanciata dal calore portato dall’alcol: qua non è fastidioso, ma cerca di colmare il dilagare della notevole freschezza al palato. Mi resta un fine ricordo argilloso nel finale, una buona traccia salata ed un tannino minimale nella sua leggera terrosità. Piacevole e davvero beverino!
DESSERT: Mousse di cioccolato bianco e Chinotto di Savona
Magari ti sei già accorto da qualche mia foto che non sono proprio un tipino filiforme: la mia stazza si nota. Che ci posso fare se sono un tipo goloso? Ammetto la colpa, amico mio, non mi nascondo dietro la classica scusa del “metabolismo lento”. Ora guarda la foto che ho messo sotto e dimmi se mi potevo esimere dall’apprezzare un dolce simile!
È un orgasmo di sapori, anche se ero scettico sull’uso del cioccolato bianco. Ovvio che quando hai sul campo un campione come lo Chef Vivalda, dovresti toglierti dubbi sulla bontà delle sue realizzazioni ed è quello che ho fatto. La mousse di cioccolato bianco ha una consistenza densa/morbida da far paura: sembra meno soffice e gustosa di quanto poi dimostra d’essere al palato. Dentro c’è un piccolo strato di Chinotto di Savona spalmato a mò di confettura che bilancia con la sua nota amarognola la dolcezza della mousse. Insomma è uno spettacolo, non ci giriamo troppo intorno!
VINO: La Vecchia Cantina Passito di Pigato Colline Savonesi IGT 2010
Devo dire che non mi aspettavo un passito di questo livello. Mica perché dubitassi della capacità dell’azienda, ma solo perché sono abituato ai grandi Vin Santo toscani e quindi ho dei bei benchmark a cui far riferimento!
Eppure questo Passito di Pigato 2010 ha classe da vendere! È denso nei profumi, pieno, corposo, ampio e con buona eleganza olfattiva visto che la scorza di arancia candita si integra con i profumi di frutta secca tostata, fico secco, dattero, orzata e legno di sandalo. È un bel festival di profumi, tutti eleganti e davvero fini nella loro espressione.
Anche al palato è un vino che si mantiene piacevole perchè non ha un residuo zuccherino troppo alto, rimane abbastanza secco, mentre il tono alcolico trova la giusta misura riuscendo a non coprire la densità di frutta candita che mi avvolge la bocca. È bella anche la sapidità marina che contrasta la dolcezza, come lo è altrettanto la freschezza che invita alla beva e rende questo passito di buona eleganza generale. Ottimo in abbinamento con questo dolce, considerando il contrasto dolcezza/amarognolo tra cioccolato bianco e chinotto.
Anche la mia seconda cena ospite dell’Associazione Vite in Riviera è terminata, alla grande direi!
Ho potuto degustare vini e piatti di ottimo livello e segue quanto ho visto durante la prima cena di Vite in Riviera con lo chef Igles Corelli.
Non te la ricordi? CLICCA QUA E LEGGI L’ARTICOLO IN CUI NE PARLO!
di MORRIS LAZZONI
VinoperPassione
Il vino è semplice da capire, basta avere passione
7 Marzo 2019. © Riproduzione riservata