Quando scopri per la prima volta il Ponente Ligure
Chiarisco subito una cosa: non ero mai stato nel Ponente Ligure prima d’ora. Perdonatemi amici liguri, ho già fatto il mea culpa ammirando il vostro paesaggio: oltretutto l’ho fatto in alcuni dei giorni più piovosi dell’anno, girando in fuoristrada per i vigneti della Valle Arroscia, fregandosene della pioggia, della foschia e delle nuvole minacciose. Quindi il voto di penitenza è già stato ben espresso!
Ero in Valle Arroscia come ospite dell’Associazione Vite in Riviera ed in seguito alla cena degustazione con il grande chef Igles Corelli di venerdì 1 Febbraio. Non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione di conoscere il territorio che ha dato origine ai vini bevuti la sera prima, oppure di parlare con quei produttori che sfidano la forza della natura.
Ti sei perso il racconto della cena con lo chef Igles Corelli? Stai scherzando!? LEGGILO SUBITO!
Il meteo non prometteva nulla di positivo, ma quando la passione vince su tutto, non c’è nulla che possa fermare un grande appassionato come me! Ho coinvolto varie persone che hanno fatto la spola per accompagnarmi nel loro territorio, con la voglia di condividere la bellezza dei luoghi e farmi percepire la grande passione che sta dietro il loro lavoro.
Sono partito da Torre Pernice della famiglia Sartori
Dopo la bellissima cena all’Enoteca Regionale della Liguria a Ortovero ho avuto la fortuna di essere ospite dell’agriturismo Torre Pernice di Albenga, conosciuto per la produzione di vini tipici del territorio come Vermentino, Pigato e Rossese all’interno dell’appezzamento in unico corpo più grande della Liguria: ben 10 ettari!
Questo dato fa pensare riguardo alla particolarità della Liguria, spesso conosciuta non solo per la “ristrettezza nelle spese economiche”, ma anche per la conformazione orografica. Ci sono colline, vallate, montagne alle spalle che sfociano su spiagge e scogliere spesso molto ridotte: capisci bene che anche i vigneti sono ristretti, vero?
La famiglia Sartori è originaria di Piacenza e conosceva la Valle Arroscia per il commercio delle primizie ortofrutticole, che venivano ad acquistare direttamente. Da lì è scoccata la scintilla e nel 1950 nasce l’azienda vinicola.
Torre Pernice produce circa 70mila bottiglie e si trova al centro della piana di Albenga e prende il nome dalla storica torre di origine medievale che sovrastava la piana con lo scopo di proteggere dall’invasione dei nemici. Oggi è adibita a winebar e sala ristorante, dove gli ospiti possono godere della bellezza degli ambienti storici. Mi ha raccontato la storia dell’azienda Bianca, titolare e moglie di Sartori, che ad oggi gestisce in prima persona l’azienda. Ringrazio quindi la famiglia Sartori per la loro gentile ospitalità!
Parto per il giro della Valle Arroscia
Attendo l’arrivo di Massimo Enrico, presidente di Vite in Riviera, che ha accettato di accompagnarmi in giro per il territorio, per farmi visitare alcune significative realtà del Ponente Ligure. La prima fermata è da Cascina Feipu dei Massaretti, che nel lontano 1965 decisero di cambiare la propria attività da produzione di ortaggi in produzione di vino.
La dimensione delle vigne è cresciuta piano piano fino agli attuali 6 ettari: mentre Mirco e Brunella parlano, leggo nei loro occhi l’emozione nel raccontare il passare degli anni ed il ricordo dei sacrifici fatti per creare l’azienda come la vediamo oggi. Ci sono stati molti cambiamenti, a partire dalla scelta di piantare il Pigato, di fatto salvandolo dall’estinzione a cui era destinato.
Mi hanno raccontato di quando Filippo, il bisnonno di Anna, veniva a Ortovero per il mestiere di uccellatore, colui che si occupava di “marchiare” gli uccelli migratori per scoprirne le tratte. Da lì in poi il passo di stabilirsi nella Valle Arroscia è stata una mera conseguenza. L’azienda è stata fondata da Agostino e Bice, genitori di Anna: ho conosciuto la signora Bice, che ha 93 anni, e sono rimasto veramente sorpreso della sua grande vitalità. Era in cucina a svolgere qualche faccenda domestica con la verve e la prontezza a volte sconosciuta a persone più giovani. Che donna!
L’assaggio dei vini di Feipu confermerà lo stile?
Ho bevuto un campione di vasca del Pigato 2018, che ancora deve terminare il suo affinamento, ma che già dimostra le sue potenzialità. Ho sentito una buona carica citrina, sia all’olfatto che al palato, dove il tratto salino è netto come quello della mandorla, tipica del vitigno. C’è polpa agrumata che potrà donare al vino sostanza e corpo, per cui confido in ottimi risultati. L’acidità è nitida e porta un’ottima freschezza, poi c’è complessità e persistenza su buoni livelli.
Le vigne di Cascina Feipu nascono su terreni sabbiosi e ciottolosi che derivano dall’alveo del fiume: donano una struttura magra ai vini, magari più puntata sulla finezza piuttosto che sulle spalle larghe che ritrovi in alcuni vini dei Colli di Luni, tanto per citare un esempio. I vini sono diretti, espressivi del vitigno e vinificati per essere ben coerenti con l’uva di provenienza.
Saluto i titolari di Cascina Feipu e li ringrazio per lo spaccato di storia famigliare che hanno condiviso: il racconto della loro vita passata, unita a quella della storia aziendale, fa capire il senso di tutti i sacrifici fatti per arrivare fino ad oggi. Continuate così perché il mondo del vino ha bisogno di persone che abbiano questa tempra!
Durante la cena di Venerdì 1 Febbraio abbiamo bevuto un vino di Cascina Feipu: era il Passito di Pigato in abbinamento con il dessert creato dalla chef Igles Corelli. Non ti ricordi cosa ho scritto? ALLORA LEGGI IL MIO ARTICOLO!
Andiamo a visitare la cooperativa dei Viticoltori Ingauni
Ti dico una cosa: in Toscana le cooperative non hanno quasi mai avuto successo. Abbiamo una storia fatta di micro divisioni e di orgoglio campanilistico, al punto da non aver mai permesso un’aggressione sociale di piccoli vignaioli in una cooperativa che funzioni con qualità.
Nel Ponente Ligure invece ci sono riusciti già nel 1976 creando la Cooperativa dei Viticoltori Ingauni che oggi conta circa 200 iscritti, i quali conferiscono le uve per la produzione dei vini a marchio della cooperativa. Vuoi che in questa parte di Liguria esiste un’estrema parcellizzazione dei vigneti e vuoi che molti agricoltori siano avanti con l’età: fatto sta che il sistema cooperativo funziona ed è in perfetta salute.
Certo che è una bella impresa seguire i vigneti, sparsi in piccoli fazzoletti di terra in tutto il territorio, cercando di mantenere contemporaneità delle operazioni in vigna: potatura, trattamenti sanitari, vendemmia e tanto altro. Per quello dico che ci vuole coraggio, ancora prima che organizzazione, una cosa che a noi toscani è mancata e continua a mancare per un’eccessiva presa di orgoglio.
Parola d’ordine: valorizzazione dell’autoctono prima di tutto
Se crei una cooperativa sociale che rappresenti il tuo territorio, allora devi prenderti anche la responsabilità di valorizzarlo al meglio. Ecco quindi che le uve sono quelle tipiche e natie del Ponente Ligure come Vermentino, Pigato e Lumassina per le uve bianche, poi Ormeasco, Rossese e Granaccia per le uve rosse.
Insieme a Massimo ho visitato la sede della cantina e la zona di produzione ed ascoltato i suoi racconti, essendo egli stesso anche socio conferitore della cooperativa. I vigneti dei soci partono poco dopo Genova fino alla zona di Dolceacqua, terra e patria del Rossese, distendendosi tra le province di Imperia e Savona.
Non poteva mancare l’assaggio delle nuove annate, direttamente da vasca, per capire cosa avrà da darci la vendemmia 2018. La resa in quantità è stata superiore rispetto alla 2017 ( per fortuna, aggiungerei ), però bisogna verificare la qualità delle uve, visto che in molte zone d’Italia c’è stato un calo, spesso anche sensibile.
Pigato 2018 BIO
È la nuova linea produttiva, dedicata al biologico, con il vino che è in dirittura di arrivo per l’imbottigliamento. Si apre immediatamente al naso un dualismo tra parte fruttata e tocco amaricante della mandorla, nota tipica e caratteristica del Pigato. Mi piace questa lotta che fa passare prima uno e poi l’altro profumo, con un bilanciamento già fine e corretto che l’affinamento in bottiglia potrà solo che migliorare.
Al palato c’è la sapidità del mare e il tipico amaricante del Pigato, uniti al citrino che porta la bocca a salivare in modo importante. Deve ancora finire il suo percorso evolutivo, ma la sostanza già c’è. Mi resta la bocca limacciosa, segno che la sapidità non manca e poi mi chiude su toni di salvia.
https://www.youtube.com/watch?v=fjNn1566z9g
Vermentino 2018 BIO
È il fratello del Pigato, anch’esso proveniente da vigneti biologici. Ha un colore meno carico di gradazione, ma i profumi sono più spostati verso toni di erba verde e maggiorana. Si sente la mandorla, coerente con la tipologia, e poi ricordi di pompelmo e fine pera.
In bocca è ancora più tagliente del Pigato come acidità e tocco citrino. È secco e sempre amaricante, forse meno del Pigato, con una mandorla più delicata e tenue. Mi arrivano anche ricordi di felce, una buona sapidità ed un finale fresco, salivante ma ben bilanciato. Al momento è in uno stato di forma più avanzato del Pigato.
Vermentino 2018 – zona Diano Castello
È una delle zone più vocate per la produzione di Vermentino del Ponente Ligure e si è deciso di mantenere le uve separate dal resto della massa. Ci sarà differenza? Ora te lo dico!
Al naso si apre in maniera più completa ed espressiva con pera, susina bianca, sempre erbe aromatiche ed una piccola sfumata di rosmarino. Sento anche qualche spezia delicata come il pepe bianco che arriva a dare briosità, ma risulta già composto nei profumi e ben bilanciato.
È al palato dove stacca e fa la differenza, visto che gioca su un dualismo tra polposità maggiore, felce ed erbe aromatiche che non mollano la presa. Resta indietro il lato amaricante, ma glielo perdoni con la lunghezza di gusto che dimostra di avere. Sarà interessante risentirlo fra qualche mese!
Pigato 40 anni 2015
È un’edizione celebrativa voluta dalla Cooperativa nell’estate del 2016 per celebrare i 40 anni dalla fondazione, pertanto il vino è una vendemmia 2015. È la miglior selezione delle uve di Pigato, le stesse che sono alla base della linea cru di Viticoltori Ingauni.
Mi piace che esprima subito evidenti note fumè, che virano su frutti maturi, a tratti con punte di candito, dove la pesca gialla ed il pompelmo danno una buona consistenza olfattiva. Non finisce qua perché c’è il ricordo del fieno caldo, del miele mille fiori e di una bella mandorla tostata. Ha una leggera nota ossidativa, testimoniando il passare del tempo in bottiglia, peraltro superato finora con slancio e tenuta. Chiude con lo spunto minerale della pietra focaia a dare maggiore ampiezza al naso.
Assaggio per capire se freschezza ed acidità hanno tenuto e mi accorgo che ancora sono li a mettersi in evidenza! Ovvio che dall’altra parte si fanno avanti morbidezza e quel velo grasso creato dall’affinamento. La salivazione è meno impattante di un Pigato giovane e spunta il ricordo mieloso, mai banale, che allunga la persistenza e chiude classicamente amaricante.
Se penso alle cooperative toscane mi viene da ridere! Viticoltori Ingauni riesce ad incarnare la tipicità del Ponente Ligure portandola al grande pubblico con attenzione al rapporto qualità/prezzo. Bene!
Saluto il presidente Massimo e salgo in macchina con Nico Ramoino
Sono stato un pò invadente con gli amici liguri: ho voluto fare un giro di aziende e vigneti del Ponente Ligure nonostante fosse Sabato ed una giornata non proprio soleggiata. Per questo il loro sforzo di portarmi in lungo e in largo per le loro terre è da apprezzare ancora di più. GRAZIE A TUTTI!
Parto con Nico per un giro nelle vigne dell’ Azienda Agricola Ramoino ed iniziamo a conversare non solo sulla sua azienda, ma anche su caratteristiche e conformazione della Valle Arroscia. È ovvio che finchè non metti i piedi in un territorio, non comprendi perfettamente la sua natura. È così anche per le colline di Imperia dove, anche in una perfetta giornata uggiosa, lo scollinare tra i pendii delle vallate ti rende conscio della bellezza di queste terre, ma anche della difficoltà di sfruttarle per la viticoltura.
Nico ci tiene molto a farmi comprendere quanto la diversità di zona possa incidere sul risultato finale: anch’io me ne rendo conto, girando sul fuoristrada in mezzo alle vigne. Saliamo su una collina mentre Nico mi racconta la sua storia: ci fermiamo nella mulattiera che divide due parcelle di vigneto, una a destra e l’altra a sinistra. La distanza tra le due parcelle? Meno di dieci metri, ma ecco il bello: due terreni diversi a brevissima distanza!
NOTA BENE: Hai capito la varietà del terreno e l’estrema parcellizzazione che puoi trovare in questa zona, chiusa tra vallate che si incuneano l’una con l’altra, poggi scoscesi che, mentre li segui, ti alzano ed abbassano lo sguardo nel loro alternarsi divisi tra vigne e tanti olivi?
Il tutto è racchiuso dentro macchie boschive abbondanti che limitano le aree vuote in un susseguirsi tra natura incontaminata e spazi gestiti dall’uomo, sempre con naturalezza e rispetto…Benvenuto in Valle Arroscia!
Nico possiede 5,5 ettari divisi in 19 vigneti che si articolano in 2 differenti comuni: immagini la difficoltà di seguire vigneti così sparsi durante la potatura, oppure i trattamenti sanitari e poi per la vendemmia? Se immagini qualcosa di difficile, alza l’asta della tua immaginazione.
Mi dice che i terreni ad Ortovero concedono vini di maggiore struttura e gradazione alcolica, mentre quelli di Sarola, dove ha sede la cantina, danno vini con più profumi e finezza: lì i terreni sono più magri di quelli di Ortovero. Seguire appezzamenti così sparsi comporta uno sforzo logistico anche in cantina: al momento della vendemmia non è detto che si possano vendemmiare tutte le parcelle nello stesso momento. Insomma, bravo Nico che ti fai un gran mazzo per gestire al meglio i tuoi vigneti.
https://www.youtube.com/watch?v=rVQENi11c8A
Abbiamo concluso il giro con le gambe sotto il tavolo
Io sono un ragazzo semplice, mi si conquista facilmente. Se sono in compagnia di brave persone, con cui posso parlare di vino e poi si finisce a mangiare qualcosa di buono, posso considerarmi l’uomo più felice del mondo. Il giro delle vigne è finito prima in cantina e poi al ristorante della famiglia Ramoino. In cantina abbiamo visitato i tini di acciaio con i vini 2018 in affinamento e poi le barrique in cui è contenuto il futuro Anchisa, il cru di Pigato dell’azienda, che compie circa 8 mesi di affinamento in barrique per poi sostare almeno 4 anni in bottiglia.
https://www.youtube.com/watch?v=I0AJ_DElY94
Essendo il vino top, viene prodotto solo nelle migliori annate: per cui spero che questo Anchisa 2018 possa diventare un grande vino. Per ora l’assaggio da botte ha dimostrato una grande struttura, materia piena e già un’espressione olfattiva e di gusto che possono sorreggere con successo il futuro affinamento. Mi è piaciuto il ricordo del fieno caldo, tipico dei terreni da cui provengono le uve di Pigato dedicate all’Anchisa. Ti faccio i miei auguri Nico per il tuo grande Anchisa!
Pranzo e degustazione della gamma dei vini
Saliamo al piano superiore della cantina dove si trova il ristorante, pieno di turisti francesi venuti a degustare vino, olio e buon cibo. È il compleanno della moglie di Nico che, nonostante il giorno di festa, è lì in cucina a dirigere la brigata per accontentare le richieste dei clienti e le nostre.
L’atmosfera è calda, famigliare e curata, ma senza sfarzi e la cucina a vista dà un bel segnale di vicinanza tra la clientela e lo staff del ristorante. Arrivano i nostri piatti, mentre io e Nico continuiamo a parlare di vino, olio e della sua storia passata che lo ha portato a creare un’azienda da 50mila bottiglie tra le più importanti della Valle Arroscia.
Vermentino Montenero 2017
È il primo vino che assaggio a tavola in abbinamento all’antipasto di salumi, formaggi e crostini. La particolarità più significativa è che si tratta di un Vermentino da pasto, con un naso più largo della media dove i profumi fruttati della pera e della pesca gialla si inseriscono in contorni vegetali dati da fieno, anice e finocchietto oltre a legare tutte queste sensazioni con un bel timbro amaricante. Al naso è fine, con una valida eleganza e tipico.
Al palato è la sapidità a spingere sui lati della bocca per mettersi in evidenza, ma apprezzo anche la forza agrumata che conduce verso il gusto citrino e la spiccata acidità. C’è un bel contrasto dato dal velo di morbidezza che sta crescendo, così come apprezzi la struttura che non delude per essere abbinata ai piatti della cucina locale. Molto apprezzabile!
Pigato Moie 2017
Sulla parentela di Pigato e Vermentino già sappiamo, per cui certe sfumature possono essere molto simili. C’è maggiore densità di profumi, soprattutto apre un ventaglio di sentori erbacei come salvia e rosmarino, prima di far passare quella traccia iodata che sa di mare e salinità. Susina bianca, pera e tanti agrumi portano alta la parte fruttata, mentre mi sorprende quel pizzico di speziatura che non infastidisce, ma anzi concede complessità.
In bocca è ancora un vino nervoso, con spalla acida che vuole sfidare il tempo e facendo ballare assieme sapidità ed amaricante, tutto dentro i contorni agrumati di ritorno dopo un’iniziale parentesi. Forse perde un pò di finezza del Vermentino per dimostrarsi più rude, più potente, menefreghista del bilanciamento ma cercando l’effetto sorpresa. Buona struttura, chiude con la bocca che resta limacciosa e persistente. Era perfetto per bilanciare la bontà delle trofie al pesto cucinate dalla moglie di Nico: era un piatto semplice, ma con quella genuinità tipica di chi cucina con amore e sincerità.
Rossese di Dolceacqua 2013
Che bello questo rosso rubino, snello e luminoso che arriva nel calice. La visciola c’è e mi piace sentirla, insieme all’amarena e quelle spezie briose che danno spessore alla densità fruttata, alzando il livello globale della completezza. In fondo arriva una traccia di floreale secco che bilancia tutto il frutto, in modo da ampliare l’intensità e la profondità olfattiva.
C’è tanta coerenza anche al palato, dove il frutto è il re della degustazione, insieme al tono leggermente amaro portato dalla vena erbacea, il tutto mai rovinato dall’arrivo del tannino. Eccole integrazione e gentilezza, segno che il tempo ha collocato il tannino in una dimensione eterogenea con il resto del vino. Gioca su lunghi secondi di piacevolezza, sempre attento a farsi ben volere alla voce bevibilità e senza cadere nel banale.
Rossese Serro dei Becchi 2015
L’uva è la stessa ma cambia la provenienza: è un vino ottenuto da vecchie vigne, per cui notiamo le differenze. Siamo sul solito solco ma, vuoi l’età delle vigne e la lunga macerazione di 75 giorni, ti trovi di fronte un vino più nobile e complesso.
Ci sono la marasca, la mora e sempre la visciola ma tutto è più polposo e maturo. Mi piace il pepe nero che dà brio e piccantezza, il ricordo secco delle foglie di thè ed una rotondità balsamica che lega tutti i profumi. Effettivamente è parente del precedente Rossese, ma ha più classe.
È al palato che capisci la sua potenzialità: c’è freschezza, buona acidità ed un tannino più spinto e presente, ma mai troppo invadente con le gengive. La struttura è diversa e maggiore, come la densità di tutti i ricordi che percepisco. Mi fa salivare, pur lasciando la rotondità della polpa di frutta e pulendo il palato con una persistenza invitante.
Tilò 2012
Dopo tanti vitigni autoctoni mi trovo di fronte un pò di Syrah: si aggiunge al Rossese per creare un dualismo molto interessante. Già il colore e la cromaticità sono diverse, grazie anche alla capacità colorante della Syrah. Lo stesso si può dire al naso dove il vino sale la scala dei valori alla voce intensità, a cui si aggiunge il balsamico, dove menta ed eucalipto donano finezza.
Ci sono accenni di prugna, mora matura, cannella ed un pizzico di liquirizia unita a pepe nero: arriva poi tabacco fumè e la traccia estrema dell’alcol e della sua pungenza. Avrebbe bisogno di respirare, ma la voglia di provarlo subito gli ha negato la possibilità di sgranchirsi. Solo alla fine mi ricorda alloro e inchiostro, arricchendo un bouquet di profumi già invitanti.
In bocca è salivante, dinamico e mai seduto nella densità esagerata. Il tannino è fine, non aggressivo, mentre la struttura del vino è più magra e stretta di quanto mi aspettassi. Non in senso negativo, visto che la piacevolezza rimane: piuttosto è segno di buona eleganza e amalgama più che giusta. È fine e con valida persistenza di gusto.
Il giro del Ponente Ligure non si ferma: ripartiamo dal ristorante dell’azienda Ramoino
Io e Nico finiamo la degustazione ed il pranzo per raggiungere Marco Temesio di Cascina Nirasca, che punta sull’Ormeasco come uva identificativa della propria produzione. Saliamo in auto e giriamo i vigneti di Pornassio, zona tipica per la produzione dell’Ormeasco. La sede è a Pieve di Teco, piccola perla della Valle Arroscia, mentre i 3,5 ettari sono sparsi in micro parcelle, com’è solito per i tanti vignaioli che producono vino in questa vallata.
L’iniziale timidezza di Marco si apre quando inizia a raccontare storia e vissuto della sua cantina, mentre passiamo in mezzo alle stradine di Pornassio. Ogni curva della strada propone un micro paesaggio differente, dove un piccolo vigneto è succeduto da olivi, piuttosto che da un campo coltivato ad ortaggi, oppure da una casa o dalla macchia boschiva. È questa frequente alternanza che fa capire la particolarità tipica di questa zona, dove l’essere bucolica ed irrequieta fa parte della sua stessa natura.
Gli ettari dedicati all’Ormeasco in Liguria sono circa 32
Pochissimi in confronto agli altri vitigni, mentre i produttori che lo producono sono solo dieci. I vigneti di Cascina Nirasca sono posizionati tra altezze comprese dai 400 ai 500 metri s.l.m. e non lasciano scampo alla resistenza fisica del vignaiolo. In queste zone la vendemmia è lunga e può arrivare fino alla metà di Ottobre, visto che c’è bisogno di vendemmiare parcelle lontane tra loro che possono offrire differenti stati di maturazione delle uve.
Ho già provato un vino di Cascina Nirasca durante la cena Stelle & Calici con Igles Corelli. Non te lo ricordi? Allora LEGGI QUA E RECUPERA SUBITO!
Durante il girovagare Marco continua a raccontarmi come crea i propri vini. Mette l’accento sull’Ormeasco che considera la punta di diamante della sua produzione: produce due differenti etichette, una da Dolcetto a raspo verde ed un’altra da Dolcetto a raspo rosso ( più raro ). Se nei vini bianchi il Pigato è l’anima dei vini bianchi del Ponente, l’Ormeasco è il cuore dei vini rossi: gli altri gravitano intorno a loro, aggiungendo comunque tipicità e corrispondenza al territorio di origine. E quando si parla di Ormeasco ti garantisco che Marco sa tirar fuori delle belle perle! Se non ti fidi, LEGGI L’ARTICOLO AL LINK CHE TROVI POCO SOPRA!
La giornata nel Ponente Ligure sta finendo
Io e Nico salutiamo Marco e ci dirigiamo verso la mia auto, parcheggiata all’agriturismo Torre Pernice. Prima però ci sta un ultimo spuntino a base di prodotti tipici e vini del Ponente, non credi? Per un goloso della cucina come me ci sta, evidentemente anche per Nico, per cui ci fermiamo all’Enoteca Regionale della Liguria di Ortovero per un aperitivo serale. Giusto per allungare il ricordo dei vini di queste zone grazie ad un Ormeasco Superiore ed una Granaccia.
È il momento dei saluti e di lasciare una terra e delle persone che in due giorni mi hanno fatto sentire come a casa. Non era scontato, perché “sono piombato” in casa loro con quella cortese invadenza di chi ha la curiosità di scoprire un territorio nuovo, anche in giornate di forti piogge e durante il fine settimana.
L’opera che l’associazione Vite in Riviera sta portando avanti nel Ponente Ligure segue il concetto di valorizzazione del patrimonio vinicolo della Valle Arroscia, senza dimenticare il forte legame che lega i prodotti con il territorio. Anche l’olio è una risorsa da valorizzare, assieme al vino e ai prodotti alimentari: la cena con lo chef Igles Corelli è stata testimone di questo stretto abbraccio enogastronomico!
Rimango dell’idea che raccontare il vino comporta una responsabilità, soprattutto etica e morale, nel riconoscere che il lavoro quotidiano fatto dal vignaiolo è un atto di amore per la propria terra. Ogni bottiglia di vino prodotta porta con sè le tradizioni ed i costumi del luogo, oltre al rapporto intimo con la zona di origine.
Non esistono territori migliori o peggiori, ma solo un giusta o sbagliata attenzione che si vuol dare ad uno specifico areale vinicolo! Tutto il resto è noia…
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di MORRIS LAZZONI
VinoperPassione
Il vino è semplice da capire, basta avere passione
18 Febbraio 2019. © Riproduzione riservata