Chi ricorda uno degli ultimi articoli che ho scritto riguardo ad una giornata passata nelle Terre di Pisa? Ho raccontato della visita alla cantina Usiglian del Vescovo, immersa nelle bellissime colline già solcate dagli Ertuschi ed in seguito dai Romani. Chi se lo fosse perso, può rinfrescarsi la memoria cliccando qua. Quel giorno l’ho passato con Claudia Marinelli, Direttrice del Consorzio, e, dopo la prima tappa, ci siamo diretti verso Peccioli per la visita successiva: Tenuta di Ghizzano. A voler proprio essere sinceri c’è stata anche una pausa intermedia, in quel di Lajatico, per un buon pranzo in una delle osterie del centro storico magnificamente ben tenuto.
Anche per Tenuta di Ghizzano non mi ritengo novizio nell’assaggio dei vini, che conosco da anni e che apprezzo. Una cosa però è degustare i vini in una manifestazione oppure in un ristorante, un altro è visitare l’azienda dove nascono. La volontà di scoprire i luoghi e le vigne in cui sono creati questi vini era troppo forte, così come la possibilità di conoscere l’istrionica ed iconica patron della cantina: Ginevra Venerosi Pesciolini.
La ringrazio fin da ora per la sua disponibilità, nonostante la presenza di un nutrito gruppo di turisti americani venuti a festeggiare una ricorrenza a Tenuta di Ghizzano. Ginevra è l’attuale memoria storica dell’azienda ed anche discendente di una famiglia antichissima. Si narra della famiglia Venerosi Pescolini a Ghizzano già dall’epoca Carolingia ( intorno al IX secolo ), mentre risale al XIV secolo la costruzione della Torre. La villa è la culla artistica del passato, così come le cantine lo sono per la tradizione vinicola. È antistante invece il Giardino della Conoscenza, che stupisce chi vi entra per bellezza e capacità di instillare pace interiore.
Tenuta di Ghizzano: biodinamica nel segno del maggior rispetto possibile per l’ambiente
I vini di Tenuta di Ghizzano hanno un forte legame con il passato, pur con uno sguardo sempre rivolto al miglioramento futuro. Basti pensare al Veneroso, esistente dal 1985 e fortemente voluto dal padre di Ginevra, ancora oggi ben inserito nella gamma vini della cantina. Negli anni però la visione di Ginevra ha plasmato l’azienda, passando attraverso varie fasi: arriva nel 1996 e sceglie una strada diversa rispetto alla precedente, con il 2003 che è l’anno dell’agricoltura biologica, certificata nel 2008, mentre nel 2006 si ha l’ulteriore passo della scelta biodinamica.
Tenuta di Ghizzano può contare su una vasta dimensione territoriale ( circa 280 ettari totali ), di cui solo 18 dedicati alla viticoltura. Intorno ai vigneti troviamo oliveti, campi coltivati e boschi, in un susseguirsi di armonie, talune naturali ed altre create dall’uomo, che ben spiegano l’unicità di queste terre. Non ci sono mono colture, non si trovano distese infinite di vigne, quanto un ambiente tutelato e protetto nella sua diversità: questo “polmone verde” si vede e si sente. Me ne sono accorto una volta sulla Torre della villa: nelle giornate più terse si arrivano a scorgere le Cinque Terre in Liguria. Nel video, girato sulla sommità della Torre, si percepiscono la ventilazione ( a detta di Ginevra è spesso presente ) e la bellezza del panorama a tutto tondo.
Le vigne sono poste a 180 gradi intorno alla proprietà, divise in numerose parcelle che seguono lo sviluppo della Strada Comunale di Ghizzano e delle arterie laterali. Parlando con Ginevra emergono le motivazioni per cui Tenuta di Ghizzano si sia fatta portavoce di una scelta radicale come quella delle biodinamica: anch’io in passato trattai l’argomento in un articolo dedicato che si può leggere cliccando qua. Si cercava un’agricoltura più consapevole del rispetto territoriale e delle sue peculiarità, cercando di incidere il meno possibile sulla natura con l’intervento umano.
Progetto Mimesi: le nuove frontiere del vino di Tenuta di Ghizzano
Dopo aver cambiato pelle all’azienda nella gestione delle vigne e del rispetto ambientale, qualche anno fa Ginevra ha deciso di mettere in atto un nuovo progetto: Mimesi. Il progetto Mimesi punta alla creazione di vini che esprimano, in modo ancor più fedele, l’anima del territorio di provenienza. Da qui l’idea di creare vini da mono vitigno ( ad oggi Sangiovese e Vermentino ) e anche di affinarli all’interno di anfore di cocciopesto.
Per chi non lo conoscesse, il cocciopesto è un materiale già utilizzato dagli antichi Romani: lo chiamavano Opus Signinum, usato non solo in ambito vinicolo ma anche come rivestimento per acquedotti, cisterne e vasche termali. In sostanza il cocciopesto è un materiale semplice, nonché di origine completamente naturale, formato da frammenti di laterizi, sabbia e calce. Applicato alle anfore permette di creare dei vasi vinari adatti al contatto con il vino, in cui la sostanza possa evolvere, maturare ed affinarsi senza la cessione aromatica tipica delle botti di legno.
Le anfore di cocciopesto scelte da Tenuta di Ghizzano non hanno armature interne di ferro, pertanto non producono cariche elettrostatiche, e permettono al vino di avere una microssigenazione con l’esterno, data la porosità controllata con cui sono costruite. La forma ovoidale permette il naturale moto convettivo del mosto, favorendo il mantenimento in sospensione delle fecce fini. Oggi Tenuta di Ghizzano produce due vini affinati in cocciopesto, entrambi in purezza, da uve Sangiovese e Vermentino: l’obiettivo è valorizzare l’identità del singolo vitigno in modo migliore, in funzione del territorio di provenienza e senza “scimmiottare” altre produzioni limitrofe.
Il momento della degustazione dei vini di Tenuta di Ghizzano è arrivato
Inizio a raccontare i vini bianchi, partendo da uno dei cavalli di battaglia storici dell’azienda: il Ghizzano Bianco. Uve Vermentino, Trebbiano e Malvasia vinificate in modo separato e poi unite prima dell’imbottigliamento per un vino che negli anni ha cambiato pelle. Il Ghizzano Bianco 2021 vuole essere un vino più immediato nell’approccio, meno riflessivo ed ancor più scorrevole alla beva. Al naso fiori, erbe aromatiche e frutti gialli emergono e danno finezza olfattiva, buona aromaticità e garbo a tutto tondo. Al palato entra salino, nitido nei sapori, molto pulito e di bella presenza al gusto: un ottimo approccio fruttato si interseca in durata, pulizia di bocca e tanta piacevolezza.
Ghizzano Rosso 2020: quasi tutto Sangiovese con una puntina di Merlot si dimostra schietto e diretto nei profumi. Il Sangiovese della costa si comporta diversamente da quello dell’entroterra toscano: qua prevalgono frutti, fiori e ricordi di spezie dolci come cannella. In bocca è scattante, fresco, salivante e con tannino ancora un pò giovane. Il palato però resta pulito dall’ottima acidità generale e dal ricordo salino nel finale.
Il progetto Mimesi creato per valorizzare Vermentino e Sangiovese
Mimesi Vermentino 2021: il nuovo progetto che dedica l’indipendenza al Vermentino passa attraverso un affinamento in cocciopesto, donando maggiore espressività olfattiva rispetto al Ghizzano Bianco. Frutta secca, agrumi, salvia, fiori bianchi, spunti iodati e salmastri ed accenno di note eteree. In bocca è citrino ma con giusto equilibrio tra acidità e sapidità da una parte, corpo e densità dall’altra. Elegante nelle movenze, piacevole e duraturo nel sapore. ( da vigne vecchie con 48 h di macerazione ).
Mimesi Sangiovese 2019: nome di origine aristotelica che, come nel caso del Vermentino, riporta all’idea della “imitazione della natura”. Gradevolissimo nei profumi in cui l’equilibrio tra floreale, fruttato, speziato e trama carnosa lascia davvero piacevolmente colpiti. Balsamico, erbe aromatiche e calore chiudono le sensazioni al naso. Anche al palato è in linea con le aspettative: ha struttura e dimensione tattile in bocca, però nulla sovrasta il resto. Bilanciato tra avvolgenza di frutto e acidità, tra tannino mai spigoloso e dinamicità al sorso. Un calice tira l’altro: vino goloso, buono e non banale…anzi!
Ora i classici aziendali: Veneroso e Nambrot in un confronto tra 2017 e 2018
Parto dal Veneroso 2018, assemblaggio di 70% Sangiovese e 30% Cab. Sauvignon, che si dimostra ancora un pò timido al naso. Bella traccia fruttata, piena e decisa, che si amalgama a dolcezza velata, ricordi di tabacco biondo, liquirizia e finale leggermente ferroso ed ematico. In bocca è un vino succulento, grazie alla pienezza del frutto, ed ha dinamicità e scorrevolezza nella beva. Il tannino non aggredisce, pur essendo lì presente a dare importanza al vino. Sapidità diffusa in tutto il palato, finezza generale rimarchevole e davvero tanta piacevolezza.
Il Veneroso 2017 invece apre più mentolato e balsamico al naso, con liquirizia, erbe aromatiche e frutti scuri più maturi a completare il gruppo dei profumi principali. Percepisco anche una vena speziata, mai invadente, seguita da leggera piccantezza del corpo alcolico, smussate però da contorni iodati. Mi piace al palato perché non sente il peso dell’annata 2017 e non si siede mai in bocca: dinamico ma al tempo stesso strutturato ed ampio, con buon tannino ma anche sciolto in acidità e sapidità finale a chiudere il cerchio. Vino completo e già ben godibile.
Non potevano mancare due annate di Nambrot per chiudere il cerchio
Arriva il momento del Nambrot 2018, internazionale di nascita grazie al 60% di Merlot, 20% di Cab. Franc e 20% di Petit Verdot. Non ci sono cazzotti di profumi al naso e questa è già una notiziona. È ampio e strutturato nei profumi, ma li dimostra sempre con finezza e garbo: frutti neri, eucalipto, note tostate del legno, tabacco e polvere di caffè oltre a ricordi di erbaceo secco e tè alla menta. Si potrebbe definire un olfatto deciso ma signorile. Al palato è una coccola fruttata, rotonda e succosa, che al tempo stesso fa scorrere l’acidità riequilibrare le parti. Il timbro sapido è presente, la complessità non manca: forse è cagionevole di compiutezza, ma ci sarà tempo per raggiungerla.
Chiudo il racconto con il Nambrot 2017, fratello maggiore del 2018, la cui parentela si sente tutta. Ha ancora più personalità della 2017 o forse è solo già più compiuto. I profumi sono ancora più intensi e materici, tutto evolve in corpo pur mantenendo una traccia simile a quella dell’annata precedente. La bocca è salivante, toccata da un’acidità che non si fa intimorire dal calore alcolico, dal tannino leggermente erbaceo e dalla pienezza del frutto. Trovo anche tracce erbacee che smorzano quel gusto carnoso ed evoluto del frutto, tenendo il vino in uno stato di piacevolezza di beva invidiabile. Ed ha ancora una bella evoluzione da fare!
La seconda tappa nelle Terre di Pisa è andata alla grande
Il tempo trascorso a Tenuta di Ghizzano è volato via velocemente, pure troppo oserei dire. È stato davvero un piacere avere Ginevra a far da guida alla storia dell’azienda, perché è una donna che incarna alla perfezione la storia di questo territorio. Sono anche felice che ricopra la carica di Vice Presidentessa del Consorzio Terre di Pisa: una donna sapiente, capace e decisa come lei può solo che dare apporto utile ad un consorzio che sta per spiccare il volo.
Ringrazio nuovamente anche Claudia Marinelli, Direttrice del Consorzio, che ha svolto come me visita e degustazione, riscoprendo una realtà storica e fondamentale per la zona delle Terre di Pisa. Il racconto della mia giornata non è ancora finito, manca un ulteriore articolo che parlerà dell’ultima azienda. Non svelo alcunché e ci “vediamo” nelle prossime righe.
di MORRIS LAZZONI
VinoperPassione
Il vino è semplice da capire, basta avere passione
18 Luglio 2022. © Riproduzione riservata