Il vino naturale o artigianale, come piace chiamarlo a me, accende spesso discussioni, plasma opinioni e rende più o meno cattive le angherie che vi si rivoltano contro. Non è difficile scorgere pregiudizi, false credenze e cose poco attinenti alla realtà ogni volta che un gruppo di persone discute di un vino naturale/artigianale, quasi come se la sola ammissione della sua esistenza potesse mettere in pericolo la salute psico/fisica dell’intero mondo del vino.
Se devo rompermi le scatole a scrivere sui gruppi FB e passare il tempo a vedermi prendere a male parole dagli “hooligan del vino”, preferisco fare altro!
Vedo un problema quando si parla di vino naturale, il quale però non deriva dal vino in sè ma da chi ne parla e lo racconta. Il vino non ha colpe, come potrebbe averne, mentre queste responsabilità ricadono sulle spalle dei narratori del vino, più o meno esperti che siano. Penso che il modo migliore per raccontare il vino sia lasciar parlare la bottiglia: ogni vino sa raccontarsi molto bene, esprimendo caratteristiche e qualità ben definite, che dovrebbero essere solamente constatate da chi racconta, giudica o dà punteggi a quel vino.
Come appassionati di questo mondo abbiamo ancora una grande fortuna, quella di poter godere di ottimi vini senza fare finanziamenti, leasing o mutui come per automobili, case o yacht. Il vino è democratico, se pensiamo che ci sono vini di grande livello a prezzi accessibili a molte persone.
Per fortuna che il vino è ancora democratico, perché si può bere molto bene a cifre raggiungibili da molte persone
Noi appassionati siamo delle bestie strane, perché vorremmo che quel vino fosse in un modo piuttosto che in un altro, che avesse quelle caratteristiche piuttosto che altre: meno alcolico, più fresco, meno tannico e tante altre seghe mentali ancora. Addirittura trasfiguriamo l’età del vino con il passare degli anni della nostra vita, attaccando al vino adesivi anagrafici come bambino, adolescente, vecchio, ecc.
Il vino naturale o artigianale, per chi non lo capisce, è come quel mondo parallelo nei sogni più strani della nostra mente in cui sembrano esserci solo pericoli e brutti mostri, gli stessi che successivamente si tramutano in difetti, errori e mediocrità una volta che si passa dal metafisico al racconto scritto. Per i veri appassionati invece il vino naturale è la quintessenza della passione vinicola, un modo di ragionare e concepire il vino come unica strada possibile per ottenere una rappresentazione reale, anche se a volte idealistica, di come il vino dovrebbe essere. In mezzo ci sono gli hooligans, sia da una parte che dell’altra, che denigrano e sputano sopra la fazione avversaria, tra le quali vedo difficile, almeno nell’immediato periodo, che possa sbocciare una pacifica intesa.
Quella tra vino naturale e vino convenzionale è davvero una lotta all’ultimo calice? Sicuri che uno dei due potrebbe stare da solo oppure uno ha bisogno dell’altro per esistere?
Vino naturale/artigianale da una parte e vino convenzionale dall’altra è uno dei temi che tiene maggiormente banco negli scritti cartacei ed online. È difficile trovare un tema più chiaccherato e che divida le opinioni: sono convinto che non riescano nell’intento neanche le inutili classifiche dei migliori vini stilate ogni anno dai alcuni pachidermi dell’editoria. Quei premi infatti si materializzano grazie a bollini ed adesivi vari, buoni per sostenere commercio ed esportazione verso luoghi e consumatori con la vista ancora annebbiata dall’equazione che premio sia uguale a qualità.
Non si parlerebbe di vino naturale se non esistesse un vino convenzionale. Dai tempi dell’antica Grecia fino ad oggi si ricordano centinaia di leggende e miti in cui due contendenti si sfidano, dando origine a lotte passate alla gloria del mito eterno. Lo stesso si può dire per il dualismo vino convenzionale/naturale, vista la portata dell’incapacità di mediazione tra le parti. Forse è vero che l’umanità ricerchi una continua lotta intestina per modificare la propria essenza, così come il vino ha bisogno di questo dualismo.
Chi vince tra vino naturale e vino convenzionale?
Dire chi vinca è difficile, almeno stando alle nette posizioni di chi propende per uno piuttosto che per l’altro. Il vino convenzionale mette sul piatto della bilancia i risultati economici, i fatturati, le esportazioni e tante altre belle cose che hanno molto a che fare con i numeri; il vino artigianale e naturale porta in dote il rispetto per il territorio e la natura, mette sul trono la semplicità, ha un viso acqua e sapone e forse un pò troppa retorica appesa al carrozzone degli ideali filosofici. Chi preferisce il lato caldo della passione e della tradizione propenderà per il vino artigianale, chi invece non può fare a meno di sezionare il vino per quantificarne il fatturato che può produrre, si metterà dalla parte del vino convenzionale.
Faccio un paragone con la politica per escludere i due estremi, come si fa con la soglia di sbarramento per i voti parlamentari. A sinistra escludo i vini che fanno schifo perché puzzano di calzini sudati dopo una giornata a zappare nella terra melmosa, mentre a destra caccio i vini studiati in laboratorio come si fa con medicinali o virus ( però questo è un altro discorso…. ). Le due estremità del vino sono la rovina del vino stesso; sono l’attacco alla sua integrità e bontà; sono il menefreghismo dell’importanza di capacità e formazione, ma anche l’assenza di anima e sentimento giustificata da contenitori diversi e prezzi infimi.
Il mio vino ideale è quello che rispetta il territorio dove nasce, includendo non solo le pratiche di vigna ma anche l’indotto che deriva dalla sua produzione. Cerco un vino fatto da chi calpesta la terra, vive la cantina e sta con il di dietro strizzato quando le previsioni meteo parlano di grandine o gelate. Mi interessa un vino che abbia una storia da portarsi sulle spalle come uno zainetto pieno di libri di uno studente affamato di cultura; mi interessa che chi produce il vino sia un artigiano e non un’industria, perché il fatturato divora anima e passione pur di continuare la sua ascesa verticale.
Lasciamo la semplice funzione di aiuto alla quotidianità ad oggetti come gli elettrodomestici. Il vino è da considerare tra le arti al pari della poesia, della pittura, del cinema o del teatro.
Mi piace dare attenzione e spazio al vino dell’artigiano e molto meno a quello delle grandi aziende o dell’industria. Penso che nel piccolo ci sia molta passione da raccontare e condividere, cosa che quasi mai si rinviene nella gerarchia piramidale delle grandi holding del vino. La sfilza di gamberetti, visi barbuti, tralci e grappoli ci insegna che l’eccessiva ripetizione degli stessi può nutrire dubbi sulla veridicità di un premio vinto. Come non può piovere per sempre, allo stesso modo un vino non può vincere premi per sempre. Non credi?
Chi ha la casa con giardino, immagino che a volte abbia desiderato di avere la stessa erba del vicino ed anche le grandi aziende del vino non lesinano sconfinamenti nel giardino altrui. Il biologico ormai è già stato preso d’assalto, come una formulina magica che si può applicare “in ogni luogo e in ogni lago”, anche nel caso di vini quasi prodotti in serie. Lo stesso si può dire del vino senza solfiti, altra panacea di tutti i mali da sbandierare con ulteriore etichetta in bella vista sulla bottiglia. Credo che manchi poco affinché i reparti marketing prendano da assalto il tema delle fermentazioni spontanee tramite lieviti indigeni: davvero crediamo che chi ha più tecnici di laboratorio che piante in vigneto, non riesca a partorire anche questa genialata? Lo stesso si può immaginare per chiarifiche o filtrazioni.
Le grandi aziende vinicole non possono scendere dall’alto della loro posizione riducendosi ad una dimensione più terrena e tangibile. Chi produce milioni di bottiglie potrà rendere meno patinata la propria comunicazione, mettere foto di mani e stivali sporchi di terra sul proprio sito, ma non avrà mai il bagaglio di esperienze di vita di un vignaiolo/a che quotidianamente si prende cura delle sue vigne.
Lunga vita al vino naturale e artigianale, ai vignaioli veri ed alle storie di forza e passione di cui l’Italia è piena!
Quando vado a visitare piccole aziende vinicole e conosco i loro proprietari, il racconto non è solo legato all’aspetto produttivo, alla viticoltura ed agli affinamenti: entrano in gioco anche tanti ricordi, molti dei quali relativi al percorso di sacrifici umani ed economici, delle lotte interne alla famiglia e delle fatiche giornaliere che spesso hanno dato gioia, ma spesso anche rimorsi e conflitti interiori.
Ci sono piccoli vignaioli/e che risparmiano un anno intero, e forse anche più, per comprare un trattore usato, una nuova botte o pensare di ripiantare un vigneto. Tutto questo universo di passato personale è compreso all’interno del contesto del vino naturale o artigianale: non posso pensare al vino naturale senza questa commistione di famiglia, vita vissuta e bagaglio di conoscenze personali che ne modellano la sua stessa personalità.
Non ci sarebbero tanti ottimi vini naturali sparsi in giro per l’Italia senza quel pizzico di lucida follia che ha permesso a molti vignaioli/e di partire da zero, iniziando a fare micro vinificazioni, per poi arrivare ad una quantità di bottiglie giusta per sostentare loro e la propria famiglia.
Se davvero vogliamo valorizzare il vino naturale, diamo più spazio alla sua vera anima piuttosto che ad imputarci se il vino ha qualche mg di solforosa in più!
Quando ascolti le loro storie e scruti i loro volti, alla ricerca dello sguardo e del sorriso che ti faccia percepire tutta la loro sana voglia di farcela, solo allora capisci che il vino naturale va oltre la fermentazione spontanea, il basso uso di solfiti e la mancanza di chiarifica o filtrazione. Non posso permettere che una filtrazione più spinta o 20/30 mg di solfiti in più possano rovinare queste belle storie di un’Italia del vino che va oltre il marketing, le ricerche di mercato e l’ossessiva bramosia di un fatturato sempre maggiore.
Probabilmente questi vini non saranno perfetti, con trucco/parrucco alla moda e non rientreranno nei canoni di degustazione più intransigenti: potrebbero non essere super precisi al naso, magari anche scorbutici o poco propensi a farsi comprendere inizialmente, ma non per questo si possono definire meno degni di altri.
Mi piace pensare al vino naturale come un esempio di lotta di genere nel vino: chi è abituato ad un’idea di vino conservatrice vedrà alcune espressioni di vino naturale quasi eretiche, preferendo la sicurezza della tecnologia e della chimica per ottenere risultati sicuri. Non voglio un vino artificiale e non servono enologi strapagati per fare un lavoro standard e ripetibile ovunque, bensì servono onestà e sincerità nel portare in bottiglia un risultato figlio del territorio di provenienza, con l’umiltà necessaria per capire che conoscenza e formazione sono alla base di qualsiasi settore. Pure del vino naturale ovviamente.
di Morris Lazzoni
VinoperPassione
Il vino è semplice da capire, basta avere passione
11 Gennaio 2021. © Riproduzione riservata